mercoledì 5 giugno 2013

Langobardia. I Longobardi in Italia

Langobardia
I Longobardi in Italia
di Tommaso Indelli
prefazione di Claudio Azzara
pp. 401, € 40,00
Edizioni di AR, 2013
ISBN: 8806161822

735 e.v.: mentre Liutprando, uno dei più grandi sovrani longobardi, giace gravemente malato, tanto da sembrare in punto di morte, suo nipote Ildeprando viene incoronato re; come racconta Paolo Diacono, non l’unzione (ossia la sottomissione al papa) ma la consegna della lancia (sicut moris est, è la chiosa rivelatrice) al nuovo re fu il segno tangibile dell’avvenuta trasmissione della regalità. Ecco, ancora, perché mentre il carolingio Pipino s’affretta ad andare incontro al papa a Ponthion, Liutprando aspetta, da superiore, papa Zaccaria. Queste prime, scarne osservazioni sul rapporto tra re longobardi e papi, quasi antitetico rispetto a quello cui daranno vita i carolingi, andranno poi ovviamente inserite nel più vasto reticolo delle istituzioni longobarde. Ed è proprio qui che emerge tutta l’importanza del lavoro di Tommaso Indelli. Perché Indelli, ed è un altro degli indubbi meriti della sua opera, non ha soltanto minuziosamente ricostruito tutto l’arco della presenza longo barda in Italia dal VI all’XI secolo, quindi includendovi anche le vicende, spesso trascurate o studiate separatamente, della Langobardìa minor, ma si è soprattutto interessato, con ricchezza di particolari e profondità di analisi, delle istituzioni e della società dei Longobardi.
Indelli si sofferma innanzitutto sulle trasformazioni della regalità, mettendo ad esempio in luce l’importanza dell’editto di Rotari come decisivo passaggio dall’ordinamento giuridico del popolo all’ordinamento giuridico del re, dal Volksrecht al Königsrecht, e ancora, il progressivo abbandono, giunto a compimento nel VII secolo, della prassi dell’elettività assembleare a tutto vantaggio di una regalità fondamentalmente dinastica, oppure il riconoscersi, da parte dei re longobardi, in un orizzonte ‘romano’, in tal modo portando a maturazione un lungo ma costante processo di acculturazione. Ancor più significative sono le riflessioni riservate dall’Autore all’esame della tribù longobarda. Di contro a una lettura oggi particolarmente in voga, Indelli recupera una concezione dell’etnia (anche se ritiene maggiormente perspicuo l’uso del termine tribù per connotare l’organizzazione sociale longobarda) radicata su fattori oggettivi senza per questo, a ragione, pensarla fuori dalla storia. Detto altrimenti, insistere sulla loro “oggettività” non implicherà affatto il ritenere etnie barbare, compresa quindi quella longobarda, delle monadi impermeabili ad ogni influsso esterno. Tutt’al contrario, si può pensare l’etnia (la tribù) come fondata su oggettivi e, al contempo, soggetta a “evoluzioni e trasformazioni di ogni tipo”, per riprendere parole stesse dell’Autore. Da qui deriva, infine, la caratterizzazione della tribù dei Longobardi, stante le condivisibili definizioni che ne dà l’Autore, come “un organismo politico-militare ed etnico-culturale dotato di una sua specifica autonomia e identità” e con un solido “retaggio di tradizioni giuridiche, linguistiche e religiose” unito a “miti etnogenetici”. Da qui, di conseguenza l’idea della tribù longobarda innanzitutto “comunità di sangue, Blutsgenossenschaft” come “una sorta di grande famiglia allargata” in grado di andare al di là dello stesso specifico ‘clan’ di appartenenza (la Sippe), per dar vita a un popolo capace di avere uno straordinario destino nella storia italiana ed europea.

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